Archivio per dicembre, 2012

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In Argentina si dice spesso che basta una scintilla per incendiare un campo, e molto probabilmente è così. Mentre scrivo immagini di scontri con la polizia e di saccheggi dei supermercati invadono televisioni, giornali e nuovi media costringendo l’opinione pubblica a tornare con la mente al 2001. Eppure non tutto torna, non tutto risulta chiaro e limpido, così il confine tra giusto e sbagliato tende ad esser invisibilizzato ed inglobato nella disputa politica.
Ma torniamo ai fatti. Da una parte vediamo che i saccheggi si espandono a macchia d’olio per tutta l’Argentina, lambiscono la capitale incendiandone la periferia e presto si trasformano in scontri violenti con le forze dell’ordine: già si contano diversi feriti, due morti e centinaia di persone arrestate. Dall’altra notiamo come determinate organizzazioni politiche legate all’opposizione e sindacati della destra peronista non solo abbiano egemonizzato e dirottato la protesta ma spesso ne sono stati diretti organizzatori.
Al momento il capo di stato maggiore ha affermato che il governo nazionale di Cristina Fernandez condanna profondamente gli attacchi agli ipermercati che si sono verificati nelle provincie di Buenos Aires, Santa Fe e Neuquèn , inoltre ha esplicitamente accusato il sindacato dei camioneros legato alla CGT di Moyano. A sua volta lo stesso Moyano ha dichiarato che “tutto quel che sta succedendo è dovuto alla gestione politica del governo” e che non avrebbe accettato accuse da nessuno. Settori della destra argentina e alcuni media accusano invece anarchici e sinistra indipendente o addirittura, ed in maniera assai razzista, la popolazione di origine indigena parlando di “furia indigenista”.
Nel frattempo le situazione più delicate si sono vissute a Rosario, dove si registrano i 2 morti e più di 50 feriti gravi, ed a San Fernando, dove durante gli scontri tra più di 300 manifestanti e le squadre anti-sommossa sono volate pietre e molotov in risposta a proiettili e gas lacrimogeni, portando alla chiusura dell’autostrada panamericana ed a più di 20 arresti. Il dato che però appare più chiaro in tutta questa storia è come sull’Argentina graviti l’ombra lunga del 2001, un’ombra i cui contorni sono rappresentati dallo spettro dell’ingovernabilità e da una profonda instabilità fatta di precarietà e rapporti clientelari.

Farsi un’idea esatta di ciò che sta succedendo è assai difficile, perchè questa è una realtà in cui propaganda, criminalità organizzata, apparati repressivi e poteri politici, siano essi partiti o sindacati, spesso viaggiano di pari passo e accomunati a volte solo dalla stessa sete di potere e controllo.Graves-disturbios-San-David-Fernandez_CLAIMA20121221_0215_17

L’impressione che ci siam fatti finora è che se a Bariloche la protesta è stata frutto della disperazione economica, in molti altri casi le proteste siano scattate a seguito di ordini piovuti dall’alto per sottolineare rapporti di forza sottesi alla gestione diretta del potere.
Naturalmente in un quadro sociale come quello argentino ed in contesti periferici come quelli delle grandi città del paese non è difficile catalizzare bisogni ed aspettative della popolazione più povera per poi convogliarne rabbia e frustrazione in rivolte che tendano a destabilizzare rimarcando relazioni di forza.
Fa parte di un perverso gioco al massacro, creato troppo spesso ad arte, ed in cui chi perde ha il volto del bambino che cerca tra montagne di rifiuti la sua cena. Come in una allegoria della sua stessa vita. Il punto è capire a chi giova questa situazione, fin’ora l’unica cosa certa è chi sta in mezzo è sempre la parte più umile di questo paese, fatta da persone costretta a vivere in squallide periferie dormitorio, senza alcun diritto di sorta o possibilità di immaginarsi un futuro che non sia talmente prossimo da chiamarsi presente. Ma quando si gioca con rabbia, necessità e frustrazione si gioca col fuoco, e non è detto che siano sempre i soliti ad uscirne vincitori.

Bariloche-encapuchados-saquean-destrozan-supermercado_0_832116963In concomitanza con la grande manifestazione di Buenos Aires che celebra gli 11 anni dal 19 e 20 dicembre, i giorni della massiccia protesta contro le politiche neo-liberiste che generarono la gravissima crisi economica che portò al default, centinaia di persone saccheggiano negozi e si rendono protagonisti di gravi scontri con la polizia nel sud dell’Argentina.
Da varie settimane la provincia di Bariloche è in fermento a causa dei tagli ai piani sociali decisi dal governo provinciale e da qualche giorno correva voce che qualcosa di simile sarebbe potuto accadere: due mesi fa c’erano stati scontri tra gli abitanti delle baraccopoli e la polizia locale, famosa per il suo comportamento estremamente violento.
Nella regione la tensione è altissima già dal 2010, quando durante una manifestazione ad Alto de Bariloche tre giovani erano stati uccisi dalle pallottole sparate dalla polizia antisommossa, continue inoltre le repressioni poliziali e giudiziarie subite dagli attivisti che in questi due anni non hanno mai smesso di chiedere giustizia per quegli avvenimenti.
I tagli ai piani sociali del governo non hanno di certo calmato gli animi: già da un paio di giorni, Omar Goye, il sindaco della cittadina, aveva chiesto ai proprietari dei supermercati di donare a chiunque ne facesse richiesta un pacco – dono, con alimenti basici: alcuni di questi cestini erano già in distribuzione per calmare le acque.
Ma questa mattina, dopo le 9;30, un gruppo composto da circa un centinaio di persone provenienti dalle favelas adiacenti all’area dei centri commerciali si era scontrato con le forze dell’ordine dopo essere entrate in un supermercato. In breve la situazione è degenerata in una vera e propria rivolta che si è scatenata per le strade della città costringendo la polizia a scappare dall’area metropolitana: ufficialmente non si contano feriti, ma decine sono i supermercati, le macellerie ed i depositi che risultano saccheggiati. Benchè la propaganda mediatica attribuisca le violenze e i saccheggi ad adolescenti o alla criminalità organizzata, dalle immagini trasmesse dalle televisioni è chiara la composizione sociale dei cosiddetti “rivoltosi”: si tratta di famiglie intere, donne con bambini piccoli che stringono beni di prima necessità come pasta e biscotti. Ecco il vero volto del miracolo argentino.

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I primi di dicembre Il giudice Thomas Griesa,  della corte di New York, aveva stabilito che l’Argentina doveva rimborsare entro il 15 dicembre il 100% del valore nominale di titoli acquistati dal fondo speculativo del gruppo NML , il cui principale azionista è il noto finanziare statunitense, Paul Singer. L’edge fund (o “fondo avvoltoio”) di Singer è uno dei pochi che nel 2002 non ha voluto accettare le condizioni della ristrutturazione del debito sovrano seguita al default dell’Argentina.

Ma cosa accadeva nel 2002? Il Paese, in ginocchio socialmente ed economicamente, optava per il default con tre principali manovre:

  1. pesificazione della moneta, rompendo il cambio 1:1 con il dollaro. Questa manovra ha determinato la svalutazione del Peso argentino del 300% nei confronti del dollaro, con perdita di potere d’acquisto sui mercati internazionali, ma riappropriazione della politica monetaria e finanziaria;

  2. consequenziale svalutazione del 66% dei titoli di debito, che vengono così agganciati al Peso svalutato e non al Peso parificato al dollaro;

  3. posticipazione (swap) a 3 e a 10 anni del rimborso dei titoli di stato.

Default quindi per l’Argentina non ha significato “rifiutare il debito” (contratto in gran parte illegittimamente dalla dittatura prima e dal neoliberismo menemista poi), ma rinegoziarlo, principalmente dilazionandolo nel tempo e svalutandolo, ovvero cambiando il valore dei titoli da pesos equiparati a dollari a pesos svalutati dalla pesificazione.

Quando ero in Italia, pensavo al caso argentino come un esempio di “rifiuto del debito”, in un senso ampio, politico, direi epistemico. E’ invece nulla di tutto questo. Non è neanche un rifiuto parziale,  come è invece stato in Ecuador, dove si è analizzato il debito attraverso un audit pubblico e partecipativo e si è deciso di cancellare tout court la parte ritenuta illegittima, il famoso debito odioso.

In Argentina nel 2002 il 93% dei creditori ha accettato (furbamente) la ristrutturazione e infatti il 15 dicembre 2012 vedrà ricapitarsi a casa la seconda e ultima cedola, comprendente degli interessi indicizzati alla crescita del pil di questi anni. Conti alla mano, dopo 10 anni i creditori che accettarono la ristrutturazione recuperano oggi circa il 70% del valore nominale dei titoli, ovvero del capitale investito.

La sentenza della scorsa settimana del giudice newyorkese si basa formalmente sul principio del pari passu, secondo il quale possessori di bond dello stesso tipo non possono avere trattamenti differenti. Di fatto il giudice obbliga l’Argentina a pagare sia coloro che hanno accettato la rinegoziazione, sia coloro che le si sono opposti. La sentenza dice che se non si rispetterà quanto sentenziato, il tribunale bloccherà i pagamenti anche ai detentori dei bond ristrutturati. A quel punto scatterebbe un default tecnico da 24 miliardi di dollari, pari al debito emesso dall’Argentina tra il 2005 e il 2010.

Davanti alla guerra scatenatasi tra i capitalisti che avevano accettato la rinegoziazione (molti) e che si sarebbero visti bloccare i pagamenti, e i capitalisti dei fondi avvoltoi (pochissimi) a cui il tribunale di New York dava ragione, la Corte d’Appello USA si è affrettata ad annullare parzialmente la sentenza e chiedere intanto lo sblocco dei pagamenti dei titoli “ristrutturati”, rimandando al 27 febbraio 2013 il verdetto finale sugli edge funds.

Alla disputa si aggiunge inoltre l’attacco dell’agenzia di rating americana Fitch che all’indomani della sentenza taglia di ben 5 punti il rating dell’Argentina. Volano anche le quotazioni dei Cds (Credit default swaps) a 5 anni sul debito sovrano del Paese sudamericano (ovvero gli strumenti derivati che proteggono dal rischio di default) saliti a 4200 punti base mentre solamente a fine ottobre venivano scambiati a 1.000.

Ma l’argentina non andrà in default, troppi sono i potenti che da questa diatriba traggono profitti. Oltre ai creditori che accettarono la rinegoziazione, c’è il governo Argentino e il capitale “amico”, che proprio in questi giorni ha ottenuto una legge ad hoc: la “Ley de Mercado de Capitales”.

La legge, passata con maggioranza più larga rispetto a quella che sostiene il Il governo neo-keynesiano e neo-desarollista e di Cristina Kirchner, ha come principi l’idea che il mercato non si autoregola e che è necessario deviare i capitali dall’economia speculativa all’economia reale. Principi assolutamente condivisibili, ma vediamo come sarebbero implementati dal  governo.

La legge, che modifica la ley 17.811 del 1968, istituisce un pubblico registro per gli agenti di borsa, liberalizzandone l’attività e ponendola sotto il controllo di un organismo pubblico creato ad hoc: la Comisión Nacional de Valores (CNV), con funzione di registro, supervisione e sanzione dei mercati e degli agenti di borsa.

Come dice il ministro dell’economia Lorenzino: “La Borsa non scomparirà, l’idea è che abbia ogni volta più giocatori. La nuova normativa permette di “investire attraverso strumenti semplici ed economici, e finanziare le imprese attraverso l’emissione di obbligazioni e azioni” […] Lo Stato garantirà i risparmi/investimenti attraverso la maggiore regolazione operata dal CNV. […] La regolamentazione del mercato sarà in mano al governo, che avrà potere di attribuzione discrezionale.” Lo Stato quindi centralizza e controlla gli investimenti di Borsa.

Secondo una logica che gli è propria e che abbiamo visto applicare in larga misura nell’ambito delle politiche sociali, il Governo diviene così il principale “distributore” di benefici, in questo caso, il beneficio di operare in borsa, e quello di usufruire degli investimenti convogliati dallo Stato. Se fossi  un investitore insomma, mi metterei dalla parte del governo, così come se fossi un’impresa.

Se lo Stato fosse al servizio dei cittadini, nulla da obiettare, sarebbero delle misure che per lo meno provano a togliere spazio alla speculazione, benchè per comprenderne i veri effetti servirà osservarne il funzionamento nel tempo. Ma lo Stato in generale, lo Stato corporativo argentino in particolare, e soprattutto il governo Kirchnerista, hanno dimostrato da un lato di essere a disposizione di un gruppo ristretto di attori sociali compiacenti, che in cambio di benefici garantiscono una base clientelare per la sua riproduzione al potere, dall’altro di sostenere una politica economica basata sì sullo sviluppo, ma non umano, bensì del grande capitale agropecuario, agrochimico, estrattivista, asservito alla proprietà intellettuale e corporativo.

Sembra quindi che tutto il trambusto sollevato dal caso internazionale sia riuscito in fin dei conti a produrre una legge, molto meno dibattuta e pubblicizzata del caso internazionale in sè, che sembra voler cambiare tutto per non cambiare niente.